Tor Bella Monaca
Nella città eterna è conosciuta come Tbm o Tor Bella, sui media passa con il marchio di “Scampia romana” (per la stessa strategia commerciale sulla droga) o “Bronx capitolino”. Incastonata tra via Casilina e il Grande Raccordo Anulare cresce negli anni Ottanta con i piani di edilizia popolare per rispondere all’emergenza abitativa. Ma l’urbanizzazione è ciclopica, spazi ampi e poco interconnessi, per di più vi si fanno convergere inquilini con bagagli pieni di disagio socio-economico.
Nel tempo Tor Bella diventa una borgata dormitorio: tanti palazzoni, poco altro. «Te piace ’sto tono de griggio?», recitava beffardo un murales in via Orazio Placidi. Siamo nel terzo municipio più popoloso della Capitale, eppure non esiste un cinema e in attesa della linea C la fermata della metro più vicina è a otto chilometri di distanza, venti minuti di auto se non c’è traffico. «Però è pieno di supermercati e discount, uno strano concetto di servizi avallati dal Comune». Un mondo che per molti comincia e finisce qui, tra le mura immaginarie di una fortezza che di romano conserva l’accento.
Percorrendo le strade della zona balza agli occhi un alveare di torri che scalano il cielo con quindici piani e migliaia di inquilini nel giro di pochi metri quadri. «Una gabbia a cielo aperto», la descrive chi ci vive. A identificare i comparti abitativi ci pensano sigle anonime come la loro architettura: R8, R11 oppure R5, quest’ultimo un serpentone di palazzi che appesantisce i due chilometri di via dell’Archeologia.
Manutenzione carente, androni e ascensori fatiscenti. Scarseggiano pure i collegamenti col centro città, che rendono Tor Bella un microcosmo condannato a lavare i propri panni sporchi: dalla carenza di servizi sociali al degrado degli spazi pubblici, dai reati contro il patrimonio alle liti condominiali che sfociano nel sangue, fino alle occupazioni abusive di appartamenti
Il colore dominante è il grigio, quello dei palazzoni e delle nuvole che negano nuova luce a un perimetro dannato. Tbm è periferia nel corpo e nell’anima, capro espiatorio di una città troppo grande per occuparsi dei suoi quartieri problematici. Un pozzo di cronaca nera a uso e consumo dei media, zona franca di torri scrostate e prati verdi dove il controllo del territorio è in mano a pattuglie di spacciatori. «Il 90% delle violenze perpetrate qui non si vede, le trovi nelle ferite dell’animo delle persone»
In giro per questi marciapiedi la discrezione è compagna di vita, «se vedi qualcosa di storto abbassi lo sguardo e tiri dritto
Un pozzo di cronaca nera a uso e consumo dei media, zona franca di torri scrostate e prati verdi dove il controllo del territorio è in mano a pattuglie di spacciatori. «
Il consumo di droga non è appannaggio dei soli tossici: la noia è il collante che porta gli adolescenti a “farsi” nel tempo libero mentre altri di loro vengono arruolati dai boss e fanno gli spacciatori al dettaglio. I parchi diventano oasi del buco a cielo aperto, dove i rifiuti si mischiano agli aghi. In zona gira il camper della fondazione Villa Maraini con gli operatori che forniscono siringhe e acqua distillata «per prevenire la diffusione di malattie infettive» e fanno pronto intervento per almeno «150 casi di overdose all’anno». Capita che alla scuola elementare del quartiere la maestra sorprenda una sua alunna sonnecchiante con la testa poggiata sul banco: «Ieri notte non ho dormito, ho aiutato mamma e papà a fare le bustine di zucchero». Che zucchero non era.
Se la sera passi a via dell’Archeologia e non sei del luogo vieni fermato e identificato dalle vedette». Di giorno ti fissano quando transiti con l’auto, in una strada che ostenta silenzi surreali e contraddizioni spiazzanti. Sullo stesso viale svettano un istituto con scuola elementare e media ma anche il laboratorio di arte sperimentale aperto dalla Comunità di Sant’Egidio
In questo grigiore non mancano comunque i Murales che rappresentano delle vere opere , e non a caso questo quartiere e' tra i piu' significativi dal punto di vista dell' Arte in strada.
I giovani che si salvano sono quelli che resistono alle sirene dello spaccio e al pascolo nel nichilismo. Studiano, lavorano, inventano. Li scopri rapper, volontari alla Caritas o appassionati di parkour, disciplina metropolitana che trasforma muri e palazzoni in sport. Ne sanno qualcosa i ragazzi del progetto Momu, che organizzano corsi per tutti.
Mancano mezzi e infrastrutture, ma ci si organizza come si può per strappare tanti adolescenti alla noia che, senza nulla da fare, finirebbero nella droga.